Riflessioni sull’etica marziale

Per etica marziale si intende quel sistema di condotta che porta l’uomo a raggiungere un equilibrio fisico, mentale e spirituale, al fine di riuscire a vivere in armonia con sé stesso e con ciò che lo circonda.
Erroneamente a volte si confonde tale etica con un percorso rigido e sofferto che ha come scopo il raggiungimento della perfezione. Nel Kung Fu ogni regola che indica come comportarsi mira al miglioramento personale. L’allenamento fisico e gli insegnamenti tratti dalla spiritualità che permea il Kung Fu, forgiano l’uomo per trasformarlo in un guerriero in grado di aiutare se stesso e gli altri.
Per quanto riguarda il Kung Fu Shaolin, va ricordato che ha le sue fondamenta nel buddhismo Chan (Zen in giapponese), il quale si inserisce in un terreno già reso florido dal Confucianesimo e dal Daosimo; l’unione di queste tre filosofie ha perciò definito l’etica marziale di quest’arte.

Cosa determina il comportamento di un praticante di Kung Fu?
Possiamo pensare al carattere cinese Wǔ 武 (comunemente tradotto con “marziale”, ma che scomposto acquisisce il significato di “mano che ferma l’arma”) indicando una persona che, invece di dar vita o accentuare un conflitto, cerca di impedirlo. Questa marzialità si traduce in un “combattere senza combattere”, e si rifà ad uno dei precetti chiave del pensiero taoista: quello del non-agire. Tale concetto non consiste nel non fare niente bensì nel riconoscere che un’azione è efficace solo quando è compiuta attraverso naturalezza (come l’acqua che scorre naturalmente verso il basso), che qui viene associata al Dao e che indirizza ogni essere a vivere in rapporto armonioso con ciò che lo circonda.
A ciò si possono collegare altri due termini cinesi, appartenenti al confucianesimo:
– shù 恕 (tradotto letteralmente con “mansuetudine”; composto da rú 如 che esprime il concetto di equivalenza e da xīn 心 cuore/mente) assume il significato di “considerare gli altri come si considera se stessi”;
– rén 仁 (tradotto con “umanità”, “senso d’umanità”; composto da rén 亻uomo e da èr 二 due), assume il significato di “si diventa esseri umani soltanto nel rapporto con gli altri”.
L’etica marziale perciò parte dal porre l’io come punto di unione e scambio dei rapporti tra tutti gli esseri, promuovendo l’armonia. Ecco perché un praticante di Kung Fu cerca di evitare il conflitto.
Inoltre, far del bene agli altri comporta anche far del bene a sé; come ci mostra un altro importante termine del pensiero filosofico cinese: qìjié 氣節 tradotto come “rettitudine morale”, “integrità”, che, essendo composto dal carattere qì 氣 (soffio vitale, energia), suggerisce che chi fa del bene e persegue la virtù riesce a stare meglio anche dal punto di vista fisico, attraverso lo scorrere di un buon flusso di energia.

Ma cosa si intende per virtù?
Il carattere dé 徳 che viene tradotto con “virtù” o “dirittura di cuore”, non è da interpretare in senso morale, bensì come la virtù (capacità, potere) di un seme di diventare una pianta. Indica perciò qualcosa che nasce e parte da dentro e che, attraverso il lavoro su se stessi riesce a germogliare e sbocciare. Il fine è quello di rendere il praticante che coltiva la virtù un uomo autentico, capace di vivere in perfetta armonia con sé e gli altri, poiché la sua forza è la potenza stessa (dé 徳) del Dao. La virtù, perciò, è quella parte interna dell’uomo che ognuno di noi ha il compito di sviluppare ed è ciò che il Kung Fu si propone di fare attraverso il duro lavoro e la meditazione. Ma, così come il percorso del praticante verso la virtù non ha mai fine, allo stesso modo gli errori commessi durante il cammino non sono definitivi e irrimediabili.
L’etica marziale del Kung Fu spinge l’uomo a lavorare su di sé per conoscersi, migliorarsi ed estendere il proprio dé 徳 all’ambiente circostante.