Nell’immaginario collettivo, costruito prevalentemente dai film sul genere e da pessimi insegnanti di settore, le Arti Marziali opererebbero unicamente al confronto fisico per avere la meglio sull’avversario.
Queste mentalità mettono la tecnica da combattimento e la forza fisica al primo posto, nel tentativo di emergere come individui, sia nello sport che nella vita sociale. Sempre più frequentemente, assistiamo a vere proprie “zuffe” celebrate nei bar, nelle discoteche e nelle piazze.
Ambienti di aggregazione per la convivialità ed il piacere, si tramutano improvvisamente in luoghi di tragedie causate dalle percosse di qualche esaltato con lo spasmodico bisogno di spiccare tra la folla o tra gli amici, mostrando le proprie “abilità marziali”, ricorrendo all’uso della violenza per risolvere dispute, per esibizionismo o, nella eventualità peggiore, come modalità di relazione fra simili.
Cosa spinge i giovani a ritenere che, calciare o sferrare un pugno possa determinare una componente importante nella narrazione di sé?
Sono questi i valori di un Arte così nobile che ha radici millenarie, nate dentro a luoghi di preghiera e di pace?
Anticamente in Cina, migliaia di anni fa, Monaci Buddhisti e Taoisti, osservando e meditando di fronte allo spazio poetico e toccante della natura, sentirono la necessità di apprenderne le leggi e i segreti: il cielo, la terra, le stagioni, gli animali diventarono una fonte inesauribile di conoscenza e di spunto per vivere la vita in armonia e in salute. Nacque il Kung-Fu, che aveva come principale obiettivo, la ricerca dell’equilibrio, la longevità e la salute.
La difesa personale veniva studiata nel rispetto della vita, senza dover necessariamente ferire l’avversario, ma trovando alternative alla forza bruta e concludendo lo scontro, possibilmente, senza danni da entrambe le parti.
Un Vero estimatore delle Arti Marziali, ripudia la violenza, perché, entrando sempre più in contatto con sé stesso, preferisce una vita pacifica e un dialogo costruttivo con chiunque, per crescere ed imparare da tutto e da tutti.
Ogni pratica marziale dovrebbe avere questi presupposti per poter essere trasmessa.
La responsabilità è interamente nelle mani dei professionisti del settore che spesso commettono un “autentico tradimento” verso i principi etici alla base di ogni disciplina che si vuole Onorare del termine “Arte Marziale”.
La riscoperta degli antichi valori, un corretto lavoro su sé stessi, nutrono il dialogo e la pace, toccano qualitativamente l’intero essere, donando salute ed equilibrio, che sono gli unici presupposti per una reale e profonda conoscenza della vita.